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17 Agosto 2017

Dondi, Nomisma: Asking Price immobiliari, un caso tutto italiano

di Luca Dondi, Managing Director Nomisma

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Prendo spunto dall’interessante intervista sugli asking price pubblicata su Monitor, per fare alcune brevi considerazioni, cercando di allargare il ragionamento.

Premessa la piena adesione a quanto riportato, mi limito a osservare che la distanza che nel nostro Paese intercorre tra la realtà descritta in manuali, norme, regolamenti e il mercato è talvolta così grande da indurre gli operatori a individuare forme di “adattamento” necessarie alla sopravvivenza.

Ritengo che gli asking price rappresentino una di queste forme di adattamento a un contesto che, nonostante la retorica, è ancora ben lungi dal potersi definire trasparente.

Senza voler affrontare in questa sede il tema dell’inadeguatezza delle azioni messe in campo da soggetti pubblici e operatori privati, per ridurre le asimmetrie informative e consentire alle diverse parti, coinvolte di operare in un contesto finalmente evoluto, mi limito a interrogarmi su quale sia la copertura territoriale minima che un soggetto valutatore deve poter garantire per conciliare, al contempo, adeguatezza informativa e sostenibilità d’impresa.

Se a livello tecnico il contesto micro territoriale rappresenta il riferimento ideale, soprattutto se come riportato nell’intervista occorre saper discernere e sfrondare tra i dati di mercato raccolti, a livello di sostenibilità economica dell’iniziativa imprenditoriale (del valutatore) appare troppo angusto. L’eccesso di pressione competitiva innescatasi nel settore negli ultimi anni ha, di fatto, imposto ai periti un ampliamento delle zone di copertura e, con esso, il ricorso a strumenti di approssimazione della conoscenza dell’ambito di analisi. Gli asking price rappresentano l’inevitabile compromesso (nelle condizioni date, sia ben chiaro) per salvaguardare le diverse esigenze in campo e garantire un risultato quantomeno verosimile, anche se non formalmente corretto.

Dietro all’aspetto meramente tecnico si nasconde, tuttavia, un problema di più ampie proporzioni rispetto all’affidabilità valutativa (tema già di per sé di non poco conto), rappresentato dalla degenerazione di un mercato fintamente regolamento come quello delle valutazioni immobiliari, dove convivono posizioni dominanti e approssimazioni di necessità.

Si tratta di un fallimento tipico di un Paese che sembra non conoscere la virtù delle posizioni mediane, passato in poco tempo dalle inefficienze delle reti proprie agli eccessi delle reti di terzi. In questo quadro, gli asking price rappresentano l’argomento nobile e spendibile di una contrapposizione radicale tra modelli industriali, che mi auguro possa presto uscire dalla trincea tecnico-lobbistica e guadagnare il centro della scena. Le occasioni non mancano, occorre però capire se c’è la volontà di far fare un salto di scala al dibattito.

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