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Progetto Italia: in arrivo il colosso delle costruzioni
di G.I.
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C'era una volta Salini. D'ora in avanti si parla invece di WeBuild, che in inglese significa "Noi costruiamo". Il numero uno italiano delle costruzioni ha cambiato nome per preparare il terreno al futuro del famoso Progetto Italia, l'operazione di sistema che vede l'ormai ex Salini-Impregilo al centro di un processo di aggregazione di altre importanti realtà italiane per creare un gruppo capace di realizzare le grandi opere infrastrutturali di cui ha bisogno il nostro Paese e che allo stesso tempo abbia le dimensioni e la solidità per battere la concorrenza internazionale sui mercati di tutto il mondo.
L'obiettivo principale è quello di superare lo stallo che il settore delle costruzioni in Italia vive ormai da dieci anni, rilanciare le sue aziende, far ripartire i cantieri delle opere infrastrutturali strategiche per lo sviluppo del Paese, tutelare il lavoro per decine, forse centinaia di migliaia di persone.
Per farlo la strada indicata è quella, appunto, del Progetto Italia. Ma a che punto è questo ambizioso progetto?
E' stato lo stesso Pietro Salini, amministratore delegato del Gruppo Salini Impregilo, durante una visita al cantiere Linate della nuova metro M4 di Milano dei membri del Cda, a sottolineare come il nuovo gruppo "sta cambiando con Progetto Italia, e sarà un player dall'anima italiana, ma sempre più forte sui mercati internazionali e su mobilità sostenibile, clean energy, clean water, green building. La metro di Milano - ha aggiunto - rappresenta un esempio concreto della nostra visione di continuare a focalizzarci su opere di mobilità sostenibile, e sulla nostra volontà di fare ripartire i progetti fermi in Italia. In questo cantiere lavoriamo già con Astaldi e siamo riusciti con il cliente a portare avanti come da cronoprogramma un progetto complesso, facendo lavorare 1.500 persone per dare a Milano la sua nuova linea che colleghi aeroporto, centro e periferia".
E sarà proprio WeBuild, nome indicato dal consiglio di amministrazione e che ora va approvato dagli azionisti, nei prossimi mesi a perfezionare l'acquisizione di Astaldi per poi proseguire con ulteriori ampliamenti del suo perimetro.
L'obiettivo è di arrivare a un giro d'affari nelle grandi opere di 14 miliardi di euro e un portafoglio ordini di oltre 60 miliardi, avvicinandosi così ai principali leader internazionali e guadagnando competitività nei cinque continenti, nei quali peraltro Salini-Impregilo lascia a WeBuild un'eredità di grande rilevanza, visto che quasi un quarto dei ricavi arriva oggi dagli Usa, primo mercato in assoluto, mentre il 28% del giro d'affari è assicurato dai Paesi del Medio Oriente, il 18% arriva dall'Italia, il 12% da grandi opere realizzate in Asia e Australia.
Il passaggio da Salini a WeBuild segna anche i profondi cambiamenti nell'assetto finanziario di un gruppo che dà lavoro a 35mila persone. Dopo un importante aumento di capitale (600 milioni di euro), oggi la famiglia controlla la società con una partecipazione del 44%. Tra i soci principali – a fianco di importanti investitori istituzionali stranieri – ci sono adesso Cassa Depositi e Prestiti con il 18% e le tre principali banche italiane, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banco Bpm, alle quali congiuntamente fa capo circa l'11% di WeBuild.
In particolare, si prevede di realizzare un'operazione di sistema, capace di sostenere lo sviluppo del Pil italiano con un contributo annuo che si aggira attorno allo 0,3%, attraverso il consolidamento di alcune delle imprese italiane del settore, sia quelle in situazione di difficoltà che quelle sane.
Si stima che il gruppo sarà capace di salvaguardare tra i 300 e i 400 mila posti di lavoro. La sua forza, oltre alla presenza capillare sul territorio italiano, sarà quella, come detto, di competere alla pari con i principali colossi mondiali delle infrastrutture, favorendo così l'export anche della filiera delle piccole e medie imprese italiane.
Nello specifico il piano prevede di mettere insieme Salini Impregilo, Astaldi (la seconda impresa italiana di costruzioni) e a seguire altre aziende operative sul mercato.
Astaldi: piano e concordato hanno il sì dei commissari
Proprio per Astaldi in questi giorni è arrivato il sì a Piano e proposta di concordato che hanno ottenuto dai commissari giudiziali il parere positivo per la fattibilità giuridica ed economica. E' contenuto nella relazione che i tre, Vincenzo Mascolo, Enrico Proia e Piergiorgio Zampetti, hanno depositato il 10 febbraio in Tribunale a Roma, nell'ambito della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale diretta. La proposta di concordato per Astaldi aveva ottenuto il via libera dal Tribunale lo scorso 5 agosto proprio nel contesto di Progetto Italia, Per il progetto è in via di attuazione l'offerta di Salini Impregilo a partire dal salvataggio appunto di Astaldi, col necessario sostegno di Cdp (attraverso Cdp Equity) e delle banche creditrici.
Un'offerta che prevede, tra l'altro, un aumento di capitale da 225 milioni di Astaldi, riservato a Salini stessa. La proposta concordataria contiene inoltre un aumento di capitale per 98.653.846 euro, per la conversione in azioni dei debiti chirografari. Con i due aumenti di capitale Salini Impregilo sarà titolare del 65% del capitale, i creditori chirografari del 28,50% e gli attuali azionisti di Astaldi del 6,5%. Nella proposta ci sono poi l'emissione di warrant per le banche finanziatrici di Astaldi, un eventuale terzo aumento di capitale, nell'ipotesi che emergano creditori chirografari non previsti, l'emissione di specifici warrant anti-diluitivi esercitabili da Salini per mantenere inalterata la quota di capitale e l'emissione, da parte di Astaldi, di strumenti finanziari partecipativi per i creditori chirografari. La relazione dei commissari giudiziali ora definisce la proposta di concordato come "sicuramente più vantaggiosa per i creditori chirografari" rispetto allo scenario alternativo dell'amministrazione straordinaria, che, a differenza del concordato in continuità, "non è volta al migliore soddisfacimento dei creditori".
A riprova della bontà della decisione di scartare l'amministrazione straordinaria i commissari sostengono che quest'ultima aprirebbe "la possibilità di perdere le commesse acquisite, per un importo di backlog sicuramente superiore a 5 miliardi, con contemporanea perdita delle garanzie in essere, pari attualmente a 4,4 miliardi". Passo successivo sarà adesso l'adunanza dei creditori convocata per il 26 marzo per l'approvazione della procedura concordataria. Preliminari saranno le assemblee degli obbligazionisti Uk da 140 milioni di euro e Usa da 750 milioni per deliberare sulla proposta, a Roma il 25 febbraio, 10 marzo e 24 marzo (in prima, seconda e terza convocazione). Assemblee che il Comitato bondholder Astaldi, che rappresenta 70 milioni di euro degli investitori in obbligazioni Astaldi scadenza 2020 e 2024, ha chiesto di revocare, non ritenendole competenti "a decidere, a maggioranza, quale voto il loro rappresentante dovrà esprimere nell'adunanza dei creditori".
Cantieri bloccati: come farli ripartire con Progetto Italia
Attualmente il valore del settore costruzioni in Italia è pari a 160 miliardi di euro (l'8% del Pil), con circa 1,4 milioni di occupati e con tassi di crescita previsti dal Cresme (l'Istituto italiano di analisi sul comparto) che dovrebbero attestarsi intorno al 3% fino al 2021.
Accanto a questo trend positivo permane però la crisi di molte aziende e ben cinque delle prime dieci società di costruzioni (Astaldi, Condotte, CMC, Grandi Lavori Fincosit e Trevi) hanno avviato procedure di ristrutturazione del debito. Questo significa che il 30% dei ricavi del settore è congelato, e che 30.000 persone rischiano il posto di lavoro.
Un pericolo che si aggiunge alla perdita di 500 mila posti registrata solo negli ultimi anni.
Progetto Italia punta a ribaltare questo paradigma.
Il consolidamento di queste aziende potrà garantire, infatti, oltre alla tutela immediata dei 30 mila posti in crisi, il salvataggio nei prossimi cinque anni di 400 mila posti di lavoro.
L'Italia vive da anni un blocco dei cantieri, di grandi come di piccole dimensioni. Uno stop causato in parte dalle crisi aziendali e in parte dalla mancanza di fondi pubblici e complessità burocratica del sistema.
Il valore dei cantieri bloccati è pari a 36,4 miliardi di euro, ma raggiunge gli 86 miliardi se si considera anche l'indotto (dato Ance, Associazione nazionale costruttori edili).
Secondo l'Ance i cantieri bloccati delle grandi opere (quelle che superano i 100 milioni di euro) sono 25. La mappa dei cantieri bloccati – aggiunge l'Associazione costruttori – coinvolge oltre la metà delle regioni italiane, dal Piemonte – che detiene il triste primato di 9,1 miliardi di opere ferme – alla Liguria (6 miliardi), la Toscana (4,9 miliardi), il Veneto (3,7 miliardi) e così via.
All'interno ci sono le grandi incompiute italiane, dalla Tav Torino-Lione all'alta velocità Brescia-Verona, dalla Gronda di Genova all'autostrada Roma-Latina, dall'autostrada Cremona-Mantova alla rete delle tangenziali venete che dovrebbero collegare Verona, Vicenza e Padova.
Si tratta di grandi ma anche di piccole opere, al punto che l'Ance ha avviato l'iniziativa "Sbloccacantieri" chiedendo a tutti i cittadini di segnalare i cantieri fermi in giro per la penisola.
In questo senso il Progetto Italia, facendo ripartire alcune aziende oggi in crisi, garantirebbe lo sblocco di cantieri in 14 regioni italiane per un valore pari a 30 miliardi di euro. Ma proprio l'Ance, in particolare sugli sviluppi di aggregazioni, non ha lesinato critiche: il presidente, Gabriele Buia, infatti, si è detto più volte "preoccupato per gli effetti distorsivi della concorrenza che questa operazione può comportare". Secca la risposta dallo stesso Pietro Salini: "L'Ance è un'associazione che rappresenta moltissime piccole e piccolissime imprese, quindi le loro preoccupazioni sono innanzitutto" legate a "un difetto di conoscenza. Io ho provato a esporre il progetto. E' un progetto nel quale questi rischi non esistono".
Basti pensare che in Italia oltre il 27% del valore totale delle gare indette negli ultimi 15 anni è stato aggiudicato a competitor esteri. Alcune imprese italiane aggiudicatarie non esistono più, e la loro scomparsa dal mercato ha aperto ulteriori spazi ai competitor esteri, che arrivano in Italia portando con sé i loro fornitori di fiducia.
Con la crisi dei grandi gruppi italiani di respiro internazionale (Astaldi, Condotte, CMC, Grandi Lavori Fincosit e Trevi), questa posizione dominante di imprese estere sembra oggi rafforzarsi, riducendo ulteriormente la quota di fatturato domestico delle aziende italiane e quindi indebolendo il sistema produttivo del Paese.
Invertire questa tendenza è la prima sfida su cui sarà chiamato a misurarsi il sistema Italia insieme al nuovo polo italiano delle costruzioni.
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