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Dondi: Equo compenso e valutazioni immobiliari, il resistibile fascino dell'etica
di Luca Dondi, AD Nomisma
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L’equo compenso in un mercato competitivo è un principio difficile da salvaguardare, ma è al contempo un presidio basilare per evitare forme di vessazione in contesti caratterizzati da eccesso di offerta, o anche solo di limitazione della concorrenza in presenza di operatori in grado di attestarsi su posizioni economicamente non sostenibili per il tempo necessario ad escludere competitor meno strutturati. È inoltre a lungo andare una condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per garantire il rispetto delle prescrizioni di preparazione e professionalità che un rapporto contrattuale dovrebbe prevedere.
Non stupisce dunque che, anche in campo immobiliare, esistano contesti in cui si faccia riferimento a tale strumento di minimale salvaguardia. In particolare, se ne fa menzione nell’aggiornamento delle Linee Guida per la valutazione degli immobili in garanzia delle esposizioni creditizie recentemente elaborato da ABI e altre istituzioni, con la benedizione delle principali associazioni del settore, in cui si riafferma in modo esplicito l’inderogabilità del principio dell’equo compenso. La perentorietà del richiamo è evidente, sia per l’inserimento dello stesso nella sezione relativa ai principi etici, sia per il mancato utilizzo del condizionale, che invece trova ampio spazio nel resto del documento. Si dice, infatti, “all’attività valutativa svolta […] deve essere riconosciuto sia un adeguato tempo di sviluppo, sia l’equo compenso”.
Dunque, tutto bene? Nient’affatto! Di equo compenso non si trova ormai più traccia da molti anni nei rapporti contrattuali in tema di valutazioni immobiliari. L’esempio più eclatante, e per certi versi pericoloso, è rappresentato dalla deriva assunta proprio dal sistema bancario che, messo a segno un enorme balzo in termini di adeguatezza con l’adempimento ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria (Basilea 2), ha in molti casi colto l’occasione di trasformare un’esigenza di salvaguardia e tutela in un’opportunità di ricavo. Il prezzo applicato al cliente è così gradualmente cresciuto, seppure nel frattempo si sia provveduto a fomentare una vera e propria guerra tra fornitori per comprimere il costo di approvvigionamento, arrivando a valori del tutto incompatibili con la professionalità necessaria all’espletamento di un incarico così delicato. Non bastasse il fronte primario, se ne sta ora aprendo un ulteriore sui controlli di secondo livello. Qui lo schema è leggermente diverso perché viene meno l’aggio a spese del cliente, ma rimane la stessa spasmodica ricerca del risparmio a scapito dell’affidabilità del risultato ottenuto.
All’inesorabile degenerazione hanno evidentemente contribuito anche le società di valutazione e le associazioni di categoria, ancora una volta timide nel sottrarsi all’abbraccio collusivo. Il problema non è circoscritto al mondo bancario, riguarda anche altri organismi vigilati, ma la tutela del pubblico risparmio è un tema su cui l’Organismo di Vigilanza si è dimostrato da sempre più attento e sensibile. Ecco perché non è escluso che qualcuno suoni la campanella di fine ricreazione. Quella che ancora una volta non siamo stati capaci di adoperarci per attivare autonomamente.
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