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Finco ha presentato nello scorso mese di febbraio il Manifesto delle 10 proposte specifiche che sono state indirizzate dalle Associazioni del settore immobiliare e delle costruzioni ai politici dei vari schieramenti.
Esaurita la vicenda elettorale, accenniamo ora ad alcuni nodi più generali che, comunque, hanno decisiva influenza sulla possibilità di fare impresa nel nostro Paese.
Non si può non iniziare dal tema della pressione fiscale, non solo sotto il profilo dell'aliquota complessiva assolutamente sproporzionata ai servizi resi, ma il cui ammontare è almeno oggetto di ampio dibattito (vedi Flat Tax), ma anche sotto quello, occulto, dovuto ad imposte e tasse che incontriamo in quasi ogni rapporto che abbiamo con la Pubblica Amministrazione. Noi spingiamo per l'internazionalizzazione delle imprese, ma provate ad esempio a rinnovare un passaporto e a giustificare l'esorbitante costo di tale rinnovo; o a conteggiare gli innumerevoli bolli e oneri che gravano su molte delle attività aziendali (come anche su quelle dei cittadini). Se mettessimo insieme le imposte fisse con quelle patrimoniali e queste ulteriori imposizioni arriveremmo a una pressione fiscale complessiva raccapricciante. In ogni caso, parte non secondaria di tale pressione dovrebbe almeno essere indirizzata verso una politica di promozione degli investimenti produttivi. Ma se invece, per questioni di pareggio di bilancio, politiche di “tassazione fiscale piatta” dovessero portare alla non auspicabile attenuazione delle detrazioni fiscali per l’efficienza energetica oggi previste, che almeno ci sia un reale abbattimento di tale pressione generale per le imprese.
Restando sul tema fisco si fa fatica anche a pagare: lasciano senz’altro sconcertati le 1441 pagine di istruzioni dei modelli dichiarativi dell’Agenzia dell’entrate, specchio dell’attuale sistema normativo fiscale.
Un altro aspetto di sicura rilevanza per l'esercizio di attività di impresa è quello relativo ai tempi della giustizia civile e penale. Sotto questo aspetto non si possono rimandare oltre una serie di azioni di controllo sull'efficienza dei Tribunali, non solo ed esclusivamente legate alla solita lamentela dei diretti interessati circa la carenza di personale e/o attrezzature, come sentiamo ad ogni apertura di anno giudiziario, ma anche e soprattutto all'organizzazione ed all'efficienza del personale, inclusi i magistrati. La certezza, e la almeno relativa tempestività del diritto, è una precondizione inaggirabile per l’ottimale convivenza civile (ed imprenditoriale).
Una terza area di cospicuo interesse per il mondo industriale è quella relativa all'urgenza di liberalizzare competitivamente (cioè diversamente da quanto è stato fatto ad esempio per il settore delle autostrade) i servizi a rete con particolare riferimento a quelli di trasporto che costituiscono per terra (Ferrovie), per cielo (Alitalia) e per mare (porti) un vero fardello per il Paese, senza neanche voler parlare di casi che rientrano più nella sfera della vergogna che in quella dell'impresa, come l'Atac a Roma.
La legge annuale sulle liberalizzazioni dovrebbe essere un focus di interesse del Decisore. Assistiamo invece ad ulteriori iniziative sciagurate, nonostante qualche passo avanti della Legge Madia, come quella della costituzione di una società in-house della regione Sardegna per la progettazione e realizzazione di opere (a proposito, qualcuno può spiegare a cosa servono – perché i danni sono chiari – le Regioni a Statuto Speciale, oltre che ai fini del consenso elettorale?).
Vi è poi l'annoso tema dell’(in)efficienza della Pubblica Amministrazione (quando non addirittura dell’ostilità). Non si può generalizzare, ma purtroppo è un tema che permea in misura diversa tutte le amministrazioni e tutti i territori, di fatto aggravato nel tempo dall'applicazione della Riforma del Titolo V della Costituzione che ha creato ulteriori e notevolissimi centri di spesa senza aumentare di un briciolo, anzi, l'efficienza complessiva dell'amministrazione stessa.
Ne abbiamo esempi dappertutto.? Basti l’ atteggiamento del Ministero delle Finanze che, visto che le imprese se la passano bene, ha deciso, per “aiutarle”, la riduzione, a decorrere dal primo marzo 2018 da 10.000 euro a 5.000 euro del limite di importo oltre il quale le amministrazioni pubbliche (e le società interamente partecipate dalle stesse) prima di effettuare, a qualunque titolo, un pagamento verificano se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo, e, per giunta, ha esteso da 30 a 60 giorni il periodo nel quale il soggetto pubblico non procede al pagamento delle somme dovute al beneficiario risultato inadempiente. Tanto per farle fallire...
Sarà basilare vedere come il prossimo Governo si rapporterà con l’incompiuta riforma della Dirigenza Statale (quella che prevedeva la rotazione dei dirigenti apicali e l’eventuale messa a disposizione dei ruoli, meno dirigenti - attualmente 1 su 20 - e più contatto con il pubblico, Regioni permettendo, come al solito...).
Concentriamoci, dunque, sulle priorità reali e lasciamo da parte ambiti normativi di “dettaglio” che non necessitano ancora di un effettivo intervento di riforma come quello del Codice degli Appalti, attaccato, da più parti, quasi sempre strumentalmente . ?Infine un accenno, senza entrare troppo nel merito, ad un tema oggetto di ampio dibattito: il reddito di cittadinanza: che proceda o meno, almeno sia reso omogeneo il meccanismo tra reddito di inclusione (varato dal governo Gentiloni), di solidarietà e/o garantito, o altri nomi con cui ai vari livelli amministrativi viene declinato il concetto. E deve venire meno per chi rifiuta una proposta di lavoro (tre sono troppe...).
Se non risolveremo i veri problemi – che necessitano di azioni chirurgiche, coraggiose ed in buona dose certamente impopolari – non solo l'attività imprenditoriale in Italia sarà sempre più appesantita, ma non riusciremo mai ad abbattere quello che è il vero nodo che grava sul nostro Paese e che graverà sempre più sulle generazioni future, costituito da un deficit abnorme volto soprattutto a soddisfare la spesa corrente e non quella per investimenti, che risulta essere più una misura di coesione sociale (per altro scarsamente riuscita) piuttosto che una politica economica volta allo sviluppo.
È certo un'opera imponente, che può far tremar le vene ai polsi, per cui sono necessari Decisori di livello e non politici per tutte le stagioni, consapevoli di doversi prendere delle responsabilità non oltre rimandabili e che non possono essere messe in discussione da demagogiche rivendicazioni rispetto alle quali siamo di solito abituati a vedere la politica prestamente arrendersi (dalla letale azione antimeritocratica e pansindacale della Fedeli nella scuola, alla proterva chiusura dei tassisti, tanto per citare due fatti del tutto scollegati ma che danno il senso di un clima infarcito di senso dei propri “diritti” e del tutto sprovvisto di quello dei rispettivi doveri).?Sotto questo profilo, a titolo “ricostituente”, consigliamo caldamente la visione dei due film ultimamente usciti sulla figura di Winston Churchill (“Dunkirk” e “L’ora più buia”). Tra le caratteristiche che infatti non dovranno mancare a chi ci guiderà non ci deve essere la ricerca del consenso, ma il coraggio di fare ciò che è necessario, con tenacia e perseveranza. E per fortuna che i nostri politici non debbano misurarsi con la lotta al nazismo.
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