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29 Dicembre 2023

L’AI sta già cambiando il mondo ma solo una minoranza conosce le sue potenzialità

di Carlos Garcia

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Una recente ricerca di IWG sostiene che già nel 2024 si riaffermeranno nei posti di lavoro delle nuove figure professionali per rendere più fluide, attraverso l’uso dell’Intelligenza artificiale, l’attività e la vita dei dipendenti. È il caso, ad esempio, del Chief Hybrid Officer, presente in aziende come Meta, Doist e GitLab, che ha il compito di supervisionare e ottimizzare l'ambiente di lavoro ibrido in maniera, appunto, intelligente.

Un’altra recentissima ricerca, questa volta realizzata da CleverConnect, sostiene che nel 2024 i processi di Talent Acquisition dovranno focalizzarsi sull’esperienza del candidato ma utilizzando la tecnologia, tra Big Data e Intelligenza artificiale, in modo da risparmiare tempo sulle procedure e favorire la relazione con potenziali candidati.

Pare di capire, insomma, che nel mondo del lavoro non si potrà fare a meno dell’AI e delle tecnologie più sofisticate, sia per entrare in un’azienda, sia per riuscire a selezionare il candidato migliore, sia per concludere degli affari (anche immobiliari).

C’è, però, un problema, sollevato prima dall’Istat e, più recentemente, dall'istituto di ricerca Eumetra: oltre la metà degli italiani è incompetente in materia. Un 54% (dice l’Istat) non ha le conoscenze informatiche di base.  Più del 60% (aggiunge Eumetra) è convinto di conoscere bene o abbastanza bene l'Intelligenza artificiale, ma quasi la metà delle persone non ci ha mai avuto a che fare o, peggio, non è in grado di stabilirlo.

Si potrebbe pensare che la mancanza di competenza riguardi chi è rimasto ancorato alla “tecnologia 1.0”, cioè chi per questioni di tipologia di lavoro svolto o di età non sia stato in grado di restare al passo coi tempi. In realtà, non è così. Secondo il nostro Istituto di statistica, la quota di persone tra i 16 e i 74 anni che dispone di competenze digitali almeno di base si attesta al 45,7%. Meno della metà, dunque.

Ci sono altri due dati da non sottovalutare. Il primo, che quel 45,7% di persone “digitalmente competenti” sono praticamente le stesse di due anni fa, il che porta a pensare che, nonostante lo sviluppo tecnologico in corso, dal 2021 non è cambiato alcunché.

Il secondo dato (ma a questo, purtroppo, siamo abituati anche in altri ambiti) è che siamo sotto la media europea del 55,5%.

Se ne potrebbe aggiungere un terzo spunto di riflessione: l’obiettivo fissato dall’Ue per il 2030 (ormai non manca molto) è quello di avere l’80% di cittadini con competenze digitali almeno di base. Noi siamo a poco più della metà e toccherà imparare in fretta se non vogliamo che siano sempre gli altri ad alzare la media, con tutto quello che ciò comporterebbe.

Più nello specifico, e per quanto riguarda l’AI, Eumetra ha rilevato che a interessarsi della tecnologia di ultima generazione è quasi il 40% degli under 25 e il 34% della fascia che va da 25 a 34 anni. Da questa età in su, l’interesse e la conoscenza vanno via via calando.

Non a caso, solo il 43% conosce la definizione formale di Intelligenza artificiale (“L’abilità di una macchina di ragionare e apprendere senza che si possa distinguere da un essere umano”). Il 35% ne dà definizioni errate (“La scienza che costruisce robot in grado di sostituire le persone in attività lavorative di tipo intellettuale”) o parziali (“Software che sanno scrivere testi da soli o creare immagini da soli”).

Chi si informa sull’AI lo fa attraverso la TV (55%) o i social network (53%), mentre appena il 13% degli intervistati ha sentito parlare di Intelligenza artificiale in ambito lavorativo o scolastico. Ecco il punto. O, per meglio dire, “uno” dei punti. Un altro, infatti, è ciò che la maggior parte dei cittadini interpellati dall’istituto di ricerca si attende dall’Intelligenza artificiale.

I più giovani, ad esempio, sono favorevoli alla guida autonoma (il 40% la vorrebbe), ma decisamente contrari ad una diagnosi medica realizzata da una "macchina intelligente". Quasi 7 persone su 10 utilizzerebbero l'AI per comporre una ricetta a partire dagli ingredienti presenti in frigo, 6 su 10 per cercare un documento in un archivio, 5 su 10 per comporre una canzone e 4 su 10 per conversare durante una chiamata al call center. Ben accetti anche suggerimenti "commerciali", come proposte di film o di prodotti in base alle preferenze personali, mentre sono del tutto banditi quegli aspetti che in qualche modo incidono sulla nostra identità, sul nostro modo di essere e pensare, come ad esempio un aiuto nelle scelte di voto. 

Tira le conclusioni Matteo Lucchi, amministratore delegato di Eumetra: “La lezione da trarre è che non si può parlare di Intelligenza artificiale tout court, ma delle sue applicazioni. Le aziende in particolare devono imparare ad ascoltare i bisogni delle persone e proporre soluzioni che rappresentino un servizio utile per i propri clienti. La parola d'ordine è, insomma, concretezza".

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